L'ispettore Gaudino Liberovici è un Clouseau amplificato: disadattato e burbero, patito di enigmistica, predilige gli arcani in forma di rebus e cruciverba ai casi trucidi che gli passa la questura.
Schiva i sopralluoghi troppo sanguinosi perché debole di stomaco, e se proprio non può farne a meno vomita con discrezione nel berretto dell'assistente Caposito.
Odia l'assedio delle reporter TV che puntano microfoni come baionette, al punto che per metterle in fuga apre il trench come un maniaco mostrando le pudenda.
Per indagare i suoi casi segue percorsi sbilenchi, fidandosi di un fiuto inesistente, al punto che quelli rimangono insoluti o preferiscono risolversi da soli.
Recensioni
Ho inanellato alcune delle tante lepidezze (crittografie, giochi di parole, equivocazioni, paronomasie e tanto altro) che tramano la scrittura di Gero Mannella,
che ha introiettato, per elaborarla poi in un modo suo originale e simpaticamente arruffato, la lezione dell'Oulipo. [...]
I racconti si potrebbero accasare sotto l'insegna della crudeltà surrealista (a me hanno richiamato Max Aub e i suoi Delitti Esemplari),
anche se a caratterizzarli c'è una piega più buffa e gaglioffa, con una patina antichizzante (e nel dirlo penso invece a Lewis Carroll).
[Francesco Durante sul Corriere del Mezzogiorno]
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Chi ritiene che il compito della letteratura sia divertire con gusto dovrebbe leggere «Il killer di qwerty», seconda prova narrativa del casertano Mannella.
Si propone come un noir dominato dall'improbabile ispettore Gaudino Liberovici, si rivela presto un divertissement linguistico,
una commedia dell'assurdo in forma di romanzo breve.
Tra le trovate di Samuel Beckett e le improvvisazioni di Ornette Coleman.
[Francesco Prisco sul Sole24ore]
Recensione
Gero Mannella in questa sua seconda prova narrativa mantiene le promesse con una lingua immaginifica e poetica allo stesso tempo.
[...] Mannella si prende con l'inchiostro la rivincita su un tempo che ci ha trasformato in tanti automi, senza il tempo giusto per poter
ascoltare le variazioni naif di un buon jazz.
[Vincenzo Aiello su Il Mattino]
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Le storie sono, in fondo, per Mannella soltanto un pretesto per giocare con le parole e le situazioni, per decostruire dialoghi cascando su inciampi semantici, su scarti lessicali.
"Gran parte della letteratura contemporanea è appiattita sull'epos, sulla fabula", prosegue lo scrittore, "al contrario io parto dalle parole,
anche a costo di sacrificare la trama. Ho un'insofferenza viscerale verso le frasi fatte perché svuotano di significato la parola: sono dei cloni.
Io metto al centro della narrazione la parola, al punto di utilizzare termini arcaici o desueti o anche neologismi di mia invenzione. Senza mai prendermi troppo sul serio".
[Arianna Ziccardi su Roma]
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Nei nove racconti che compongono il libro lo scrittore
lascia esplodere l'imprevedibile potenza espressiva
di ogni singola parola, capace di fare continui sgambetti ai tanti luoghi comuni che infestano il mondo
contemporaneo.
Mannella è capace di costruire scenari investigativi
anomali, attraverso procedimenti espressivi originali
distanti anni luce dalle piatte semplificazioni linguistiche imposte dai media.
Liberovici ha sempre la
forza di affrontarli [...] ma se il gioco si fa duro, lui batte in ritirata
trovando rifugio nelle sue rassicuranti verità, liberandosi dalle scorie della vita vomitando
"... anche l'anima, nonché altre appendici immateriali reperibili in tutti i manuali di metafisica".
[Giuseppe Roncioni su Pulp Libri]
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