In viaggio per la città dei suoni
Caras Ionut, Where the story begins, 2017
Bidonville, la città dei suoni, nacque come discarica abusiva.
Si sa come succede. Un tizio si disfa di un bidet lasciandolo sul ciglio di una strada di periferia, un altro vi accosta furtivo un vecchio divano, un terzo una bicicletta sgangherata, e così via.
Gli oggetti inutili, i materiali di risulta, siano essi di legno, metallo, maiolica o stoffa, col tempo si fondono per empatia e creano nuovi modelli.
Relitti refrattari alla decadenza essi tendono a soggiacere non solo alla forza di gravità, che li preme l’uno sull’altro in equilibri alfine stabili, ma ad altre oscure leggi naturali che creano coacervi inediti, architetture spontanee e macchie di colore.
E’ quanto accadde a Bidonville.
Il caso e il caos dettarono il suo sviluppo, i cunicoli tra le pile di materia multiforme divennero varchi simili a strade e le aree di smistamento acquistarono le fattezze di piazze delimitate da laterizi. E tuttavia un’armonia recondita e precaria vi si diffuse come in accordo al progetto d’un architetto bizzarro già visto all’opera a Lilliput e ad Aqbar.
Il richiamo stranito che ispirò presto quel luogo in quanto città fantasma e monumento alla caducità fece sì da attrarre i primi residenti stabili, scorie e refusi migranti dalla società dei consumi, materia anch’essa di risulta, sebbene organica a base carbonio.
Dapprima barboni, squatter e marginali, poi artisti, musici e giovani transfughi, vi si insediarono sovrapponendo al bislacco caleidoscopio dall’aura post-atomica animato solo da gabbiani e topi i suoni, le voci, le parole.
Bidoni, latte e taniche in metallo forgiarono i ritmi tribali che presero a scandire il ciclico alternarsi di luce e stagioni. Il vento poi, che sferzava inclemente la regione, cominciò a cavare dalle lamiere e dagli ondulati vibrazioni esotiche percepibili a chilometri di distanza.
Si instillò così nell’animo dei popoli finitimi la malìa di quella città di risulta, un’attrazione fatale, un richiamo ineludibile che qualcuno chiamò Mal di Bidonville.
Da lì sortì l’istanza del Viaggio Iniziatico verso quel luogo, anomalo pellegrinaggio di un misticismo laico, che era soprattutto ricerca di sé sull’onda di quei riverberi vorticosi e cangianti.
Nuovi viandanti muti e sognatori impenitenti, pure in assenza di Pifferai e Duci, segnarono i loro passi verso la città dei suoni. Lo scalpicciare era lieve e privo di bussole o mappe, dacché il vento orientava verso la sorgente del vibrato; e a questo violoncello immaginato s’associavano con l’avvicinarsi alla meta i rimbombi di steel pan e di marimbe improvvisate.
Quel rinnovato anelito al viaggio come scoperta del nuovo fuori e dentro di sé rese Bidonville la nuova frontiera dello spirito, pure in assenza di cattedrali e moschee.
Cresciuta di pari passo con quell’ansia la città di risulta s’espanse oltre ogni piano regolatore.
Oggi registra alcune migliaia di residenti e lunghe teorie di pellegrini che l’attraversano e vi ci sostano guardandola attoniti con facce che sembrano discendere dai dipinti di Bosch.
Di recente Bidonville è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.
In quanto città anch’essa produrrà materiali di risulta, e questi daranno probabilmente vita ad una nuova discarica alla sua periferia che sarà una futura città o luogo dello spirito, che avrà un nome e un suono inedito.
Questo ciclo si rinnoverà, e le città partoriranno discariche e le discariche città satellite come tanti frattali, come uomini-conchiglia, come viaggiatori curiosi..
Gero Mannella Copyright 2005